Ciao, sono una Pinza Brembo, e voglio raccontarvi la mia giornata tipo alla Dakar, la gara automobilistica più dura al mondo: oltre 5 mila km, di cui 3.000 di prove speciali, attraverso il Perù. In questo momento mi trovo ad Arequipa, in Perù, a 2.335 metri di altitudine sul livello del mare.
Faccio parte dell’impianto frenante di un importante team impegnato alla Dakar e in lizza per la vittoria finale. Insieme ai miei compagni, il disco e le pastiglie freno, costituiamo il sistema frenante Brembo, una squadra molto ben affiatata, progettata e realizzata ad hoc per equipaggiare le auto che puntano a vincere la Dakar.
D’altro canto siamo tutti figli d’arte: i nostri antenati, vale a dire i sistemi frenanti Brembo del passato, hanno vinto già moltissime volte questa gara sin dai tempi in cui si correva in Africa e si chiamava ancora Parigi-Dakar.
Ore 7 NESSUN DORMA: Ieri sera dopo alcune ore dedicate alla pulizia e al controllo dei miei componenti i meccanici mi hanno rimesso sulla vettura, in modo che fossi pronta per la tappa odierna: se avessero riscontrato problemi invece mi sarebbe toccato finire negli spogliatoi per lasciar posto ad una sostituta. Sono reduce da una dormita colossale: 9 ore di fila, incurante dei rumori che contraddistinguono la vita al bivacco.
Ore 8 RISCALDAMENTO MUSCOLARE: il pilota accende l’auto e percorriamo qualche centinaio di metri all’interno del bivacco per raggiungere la partenza della tappa. È come fare stretching, i 6 pistoni di cui sono dotata fanno avanti e indietro 5 o 6 volte, il modo ideale per controllarne il funzionamento e il feeling con i miei compagni di reparto: le pastiglie Brembo, che per l’occasione sono lunghe 164 mm (quelle da rally sono invece da 140 mm), e il disco freno, anch’esso Brembo. Il suo diametro è di 355 mm ed è composto da una fascia frenante in ghisa e da una campana in alluminio che combinano resistenza a leggerezza. La frenata non dà problemi, inizio a scaldarmi.
Ore 8.40 CHI BEN COMINCIA: inizia la speciale, si fa sul serio. Prima marcia, seconda, terza, “attento là avanti a quel terrapieno”, sento annunciare dal copilota. Mi preparo anch’io. Il piede preme sul pedale che trasferisce la forza al liquido del freno che arriva in un baleno a me: i miei pistoni si attivano e spingono sulla pastiglia che va a contatto con il disco del freno. Il pilota ha calcolato timing e pressione alla perfezione. Percorriamo la curva in derapata e riprendiamo ad accelerare. La prima staccata della giornata è andata. Abbiamo rotto il ghiaccio.
Ore 10.10 SI FA SUL SERIO: per due ore il rituale si reitera ad intervalli irregolari: cambia solo lo sforzo che il pilota esercita sul pedale e la durata dell’operazione. Complice l’alzarsi del sole e lo sforzo ripetuto la mia temperatura corporea è salita, sono sui 190°C, ma mi sento in forma, mi sono allenato a lungo per non accusare defaillance nemmeno a temperature superiori. Il mio range di temperatura ottimale va da 150 °C ai 200 °C ma anche a 230-240°C sono in grado di adempiere alle mie funzioni.