Superato il giro di boa del campionato, il Mondiale Superbike torna alle origini con la tappa di Donington Park.

La pista britannica è stata impiegata dal 1988 al 2001 e dal 2007 ad oggi con l’eccezione del 2010 e 2020. Finora ha ospitato 67 manche con tre Case in doppia cifra per numero di successi: Ducati e Kawasaki con 19 vittorie a testa, Yamaha con 15. 

L’anno scorso invece la BMW fece tripletta con Toprak Razgatlioglu.

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I dati del gp

Secondo i tecnici Brembo che lavorano a stretto contatto con 12 dei 14 team del Mondiale Superbike, il Donington Park Circuit da 4,023 km di lunghezza rientra nella categoria dei circuiti altamente impegnativi per i freni. In una scala da 1 a 5 si è meritato un indice di difficoltà di 5 perché ogni giro i piloti utilizzano i freni per il 29 per cento del tempo, ovvero per 24 secondi e mezzo. 

Delle 7 frenate 2 sono della categoria High, 4 Medium e solo una Light. Tre di queste frenate richiedono l’uso dei freni per almeno 4 secondi.

La curva più dura

La curva più dura del Donington Park Circuit per l’impianto frenante è la 9 nonostante il calo di velocità e lo spazio di frenata siano leggermente inferiori alla curva 1: alla curva 9 sono però superiori il carico sulla leva (5,3 kg) e la pressione del liquido freni (11,3 bar), mentre la decelerazione è la stessa (1,5 g). Sono indispensabili per passare da 274 km/h a 109 km/h in 3,5 secondi durante i quali le moto percorrono 181 metri.

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Il debutto

Il primo round del Mondiale Superbike si disputò a Donington Park. Era il 3 aprile 1988 e ai tempi si gareggiava su due manche. A darsi battaglia quel giorno c’erano gli italiani Davide Tardozzi e Marco Lucchinelli, lo statunitense Fred Merkel, l’inglese Roger Burnett e il nordirlandese Joey Dunlop. 

Gara1, a cui parteciparono 39 piloti, fu vinta da Tardozzi con un secondo su Lucchinelli e oltre mezzo minuto su tutti gli altri rivali. In Gara2 invece Lucchinelli trionfò con 9 secondi su Merkel, complice la caduta nel finale di Tardozzi.

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C’era la ghisa

In pista quell’anno si scontravano le Ducati 851, le Bimota YB4 e le Honda RC30. Tutte loro impiegavano dischi in ghisa, di 5 mm di spessore e con diametri da 290 mm a 320 mm a seconda delle occasioni. 

Rappresentavano la soluzione più economica e non necessitavano di essere portati in temperatura per essere utilizzati. D’altro canto la ghisa è un materiale fragile e l’abbinamento con materiali d’attrito sempre più aggressivi ne ha causato il prematuro abbandono nelle competizioni motociclistiche. 

 

In realtà la ghisa rimase fino al 1994 , prevalentemente con i team privati, gli ufficiali o chi poteva permetterselo usavano il carbonio. Nel 1995 si passò definitivamente all’acciaio per la bandizione del carbonio , la ghisa scomparve per problemi di fragilità e per il fatto che, come evidenziato in giallo ,i materiali d’attrito erano divenuti troppo aggressivi e l’abbinamento con la ghisa ne cagionava la rottura. 

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Gli stoppie di Toprak

Ai tempi gli stoppie a cui ci ha abituato Razgatlioglu, uno dei quali l’ha effettuato tagliando il traguardo di Gara2 a Misano, il mese scorso, erano inimmaginabili. Il suo controllo della moto è inimmaginabile ma un contributo arriva dalla leggerezza dei componenti frenanti Brembo e dei cerchi Marchesini: le pinze monoblocco a 4 pistoni non superano gli 1,5 kg essendo realizzate a partire da un blocco di alluminio. In quei frangenti Toprak esercita un carico sulla leva fino a 7,2 kg, un terzo in più rispetto alle staccate più dure durante la gara.