L’azienda italiana ha introdotto negli ultimi anni una soluzione che rappresenta l’apice della tecnologia frenante: il disco alettato in carbonio.
Nascita e sviluppo
Per capire quanto sia rivoluzionario, occorre fare un passo indietro. Negli anni Novanta Brembo portò per la prima volta in pista i dischi in carbonio, sostituendo quelli in acciaio. Fu un cambio radicale: materiali più leggeri, temperature di lavoro più alte, frenate più potenti. Quella scelta segnò una svolta storica, tanto che oggi il carbonio è lo standard della MotoGP.
Ma Brembo non si è fermata lì: dal disco in carbonio tradizionale è nata una nuova evoluzione, ancora più estrema e sofisticata, il disco alettato.
A prima vista sembra un normale disco in carbonio, ma la differenza è all’interno: un sistema di alette di ventilazione progettate per gestire al meglio le sollecitazioni termiche. Le alette non sono altro che un aumento della superficie di scambio termico, che consente al disco di dissipare calore in modo più efficiente e di mantenere temperature stabili anche nelle staccate più impegnative. Non si tratta però di un semplice accorgimento meccanico: la loro geometria è il frutto di un lavoro di ricerca avanzatissimo condotto nei reparti R&D di Brembo. Ogni dettaglio è stato definito attraverso ottimizzazione topologica, supportata da analisi FEM (Finite Element Method) per garantire la massima resistenza strutturale e da simulazioni CFD (Computational Fluid Dynamics) per studiare i flussi d’aria e perfezionare la dissipazione del calore.
Il risultato è un disco capace di mantenere temperature ottimali anche durante le staccate più violente, quando si passa da oltre 300 km/h a meno di 100 in pochi metri e in pochissimi secondi. La finestra di funzionamento ideale, tra i 250 e gli 850 °C, è gestita in modo più stabile ed efficace rispetto al carbonio classico, offrendo al pilota una frenata sempre precisa e costante. È un equilibrio delicatissimo, ma fondamentale per garantire prestazioni senza compromessi anche su piste come Spielberg, Motegi o Sepang, famose per le loro staccate durissime.
Dal punto di vista delle prestazioni, i vantaggi sono evidenti: il peso contenuto, dovuto al carbonio di cui è costituito il disco, tra 1 e 1,4 kg riduce le masse non sospese, migliorando la maneggevolezza della moto; il coefficiente d’attrito cresce con la temperatura senza mai calare, regalando al pilota la sicurezza di poter frenare più tardi e più forte; la dissipazione del calore ottimizzata previene fenomeni di fading e usura prematura.
In altre parole, il disco alettato rappresenta non solo un perfezionamento tecnico, ma l’ennesimo salto evolutivo di una storia che ha visto Brembo trasformare l’acciaio in carbonio e ora il carbonio in un sistema ancora più intelligente e raffinato. È la prova concreta di come la ricerca, quando è portata avanti con metodo e visione, sappia trasformarsi in un vantaggio tangibile in pista.
Dalla MotoGP alla Superbike: quando il carbonio non è permesso
La MotoGP non è l’unico palcoscenico dove Brembo sperimenta e innova. Nel Mondiale Superbike, infatti, il carbonio è vietato dai regolamenti tecnici, e i team devono utilizzare esclusivamente dischi in acciaio. Questo non ha impedito all’azienda di trasferire il concetto di disco alettato anche in questo campionato.
Oggi i piloti SBK possono scegliere tra diversi diametri (336 mm e 338,5 mm) e spessori variabili, con versioni fino a 7,4 mm. Brembo ha introdotto dischi in acciaio ventilati, che si basano sullo stesso principio dei dischi in carbonio: aumentare la superficie di scambio termico per raffreddare meglio il sistema frenante. Tuttavia, per via del diverso materiale e delle tecnologie costruttive necessarie, la forma delle alette è molto diversa rispetto a quella adottata nel carbonio, pur mantenendo lo stesso obiettivo: garantire una dissipazione del calore più efficace.
Il vantaggio rispetto ai dischi solidi è netto: raffreddamento più rapido, temperature più stabili, migliori prestazioni di frenata e minore usura delle pastiglie. È una tecnologia che affonda le radici anche in esperienze passate: già vent’anni fa, dischi ventilati erano stati impiegati con successo nel campionato AMA, contribuendo alle vittorie di Ben Spies e Mat Mladin.
Oggi quell’idea ritorna in SBK, evoluta e perfezionata, per offrire prestazioni al top anche in un contesto regolamentare diverso.
Dal circuito alla strada: i dischi T-Drive alettati
La filosofia Brembo è sempre stata quella di trasferire sulla strada le tecnologie più raffinate sviluppate per le corse. È così che i dischi alettati hanno trovato la loro applicazione anche sulle moto di serie.
Le Ducati Panigale V4 Tricolore Italia e Panigale V4 Tricolore sono state le prime sportive stradali a montare di serie i dischi Brembo T-Drive alettati, direttamente derivati dal Mondiale Superbike. Con un diametro di 338,5 mm e uno spessore di 6,2 mm, questi dischi offrono una superficie maggiore e un raffreddamento più efficace, garantendo frenate potenti e costanti anche durante le sessioni più intense in pista.
La particolare conformazione a “T” dei perni di collegamento tra fascia frenante e flangia consente una flottanza radiale e assiale che migliora la trasmissione della coppia frenante, riduce il peso complessivo e aumenta la resistenza agli stress termo-meccanici.
Il risultato? Maggiore coppia frenante, efficienza superiore, costanza di rendimento e riduzione dell’allungamento della leva freno. A tutto questo si aggiunge un look racing che completa il pacchetto “Pro” offerto da Brembo ai motociclisti più esigenti.
Racing come laboratorio per la strada
La storia del disco alettato dimostra ancora una volta la filosofia che da sempre guida Brembo: utilizzare il mondo delle corse come un laboratorio avanzato, dove sperimentare soluzioni estreme e portare la tecnologia al limite.
Ogni innovazione sviluppata in pista diventa così una base di partenza per nuovi prodotti destinati alla strada, regalando ai motociclisti comuni parte della stessa eccellenza che permette ai campioni di vincere in MotoGP e Superbike.