Sette giorni dopo il GP Austria, la MotoGP si sposta nella vicina Ungheria per il 14° round della stagione.
Il GP Ungheria vanta solo due precedenti, agli inizi degli anni Novanta. Ai tempi però si gareggiava all’Hungaroring che dal 1986 ospitava già il Mondiale Formula 1.
Per riportare il MotoMondiale in Ungheria, nel 2008 fu avviata la costruzione del Balaton ring, da non confondere con il circuito che verrà usato quest’anno: pur costeggiando entrambi il lago Balaton, distano l’uno dall’altro un centinaio di chilometri.
I dati del GP
Secondo i tecnici Brembo che lavorano a stretto contatto con tutti i piloti della MotoGP, il Balaton Park Circuit da 4,115 km di lunghezza rientra nella categoria dei circuiti mediamente impegnativi per i freni.
In una scala da 1 a 6 presenta un indice di difficoltà di 3 con 8 frenate al giro per complessivi 31 secondi di impiego dell’impianto frenante: 3 frenate sono della categoria High, 2 Medium e 3 Light.
Solamente in due punti della pista però gli spazi di frenata superano i 185 metri.
La curva più dura
La curva più dura del Balaton Park Circuit per l’impianto frenante è la 5: le MotoGP passano da 282 km/h a 72 km/h in 5,2 secondi in cui percorrono 226 metri mentre i piloti esercitano un carico sulla leva del freno di 6 kg.
La decelerazione è di 1,5 g, la pressione del liquido freno Brembo raggiunge i 12,8 bar e la temperatura dei dischi in carbonio arriva a 590 °C.
La favola Cagiva
L’ultima edizione del GP Ungheria, nel 1992, è passata alla storia per il successo della Cagiva, la prima del Costruttore italiano nel Mondiale della classe 500. Artefice Eddie Lawson che si era qualificato con il 7° tempo.
Giacomo Agostini, che dirigeva il team, lo convinse ad usare una slick dietro e una intermedia davanti, pur con l’asfalto inzuppato d’acqua.
Nei primi giri Lawson restò a centro gruppo ma con il progressivo asciugarsi della traiettoria, lo statunitense rimontò come una furia e vinse con 14 secondi di vantaggio.
I freni dell’impresa
La Cagiva C592 guidata da Lawson al GP Ungheria 1992 disponeva di impianto frenante Brembo, così come tutte le Cagiva che hanno gareggiato nel Mondiale.
Quella moto impiegava all’anteriore un doppio disco in carbonio con diametro di 320 mm (talvolta di 290 mm) su cui agivano pinze a 4 pistoncini e al posteriore un disco singolo da 210 mm abbinato ad una pinza a 2 pistoncini.
Lawson fu molto cauto nei primi giri perché il carbonio dell’epoca entrava più lentamente in temperatura dell’attuale.
L’onnipresenza del carbonio
Fino a 10 anni fa, in caso di pioggia, i piloti della MotoGP utilizzavano i dischi in acciaio perché il carbonio garantisce un buon coefficiente d’attrito solo se raggiunge almeno i 250 °C.
Questo valore risultava irraggiungibile con le precipitazioni ma di recente, complici le coperture in carbonio dei freni e i passi in avanti sui materiali, quasi tutti ricorrono ai dischi in carbonio anche con la pioggia.
L’acciaio infatti soffre le alte temperature, lamenta problemi di coppia residua ed essendo più pesante peggiora il comportamento dinamico della moto, sia agendo negativamente sulle sospensioni che riducendo la potenza scaricabile a terra.